Cristian Berti

Titolare e Direttore Commerciale Arzanà Veneto

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“In un mondo in cui tutto diventa massificato, vogliamo riportare il desiderio di essere fieramente distinti”. Così si presenta questo marchio 100% made in Italy, mix fra storia e artigianalità. Un brand di calzature legato al concetto di perfezione stilistica e votato al lusso.
Le sue scarpe raccontano i valori culturali del cuore pulsante della città di Venezia, che stupì per secoli il mondo: l’Arsenale.  La più grande fabbrica di navi a livello internazionale.
Stiamo parlando di Arzanà Veneto, anche semplicemente detto AV, un marchio che narra i valori della contaminazione storica: artigianato esclusivo, indomita volontà di “dare il meglio perché abbiamo bisogno del meglio”.
Parliamo di Arzanà Veneto con Cristian Berti, proprietario e fondatore del brand.

Come sei arrivato al mondo della calzatura?

“Vengo da una famiglia di imprenditori in ambito meccanico, ma la vita mi ha condotto a fare delle scelte diverse e così sono entrato nel mondo della calzatura 20 anni fa. Con le scarpe è stato amore a prima vista e, in questi due decenni, ho imparato tantissimo sul settore, un settore che mi ha arricchito anche come persona. A un certo punto ho reputato giusto seguire la mia strada e intraprendere un percorso che rispecchiasse fino in fondo le mie idee e, così, è nato il marchio AV. È venuto alla luce quasi per caso, in maniera inattesa durante una cena sopra Soave (nella zona delle colline di Verona)”.

Quali sono i punti di riferimento a cui ti ispiri?

“Mi è sempre piaciuta l’essenzialità, uno stile pulito e senza tanti fronzoli. Perciò il gusto di Armani mi appassiona da sempre: poter essere eleganti senza per forza dover esibire la propria eleganza. Ad Armani affianco Burberry e il suo trench intramontabile, archetipo di quei prodotti che sopravvivono al tempo e riescono a creare storie lunghe dei decenni”.

C'è una tua personale passione che sei riuscito a trasmettere nel tuo marchio?

“In tanti mi riconoscono buon gusto e questo credo si percepisca nelle scarpe che facciamo.
La mia vera passione, poi, sono gli occhiali da sole. Credo quindi che, in futuro, non mancherà qualche pezzo di occhialeria firmato AV”.

Quale stile di leadership usi con chi lavora con te?

“Mi piace molto il rapporto che il professor Keating, nel film L’Attimo Fuggente, intrattiene con i suoi alunni. Un rapporto paritario e non gerarchico. Non insegnava loro l’amore per la poesia, ma li trascinava a sposare la propria passione. Inoltre, come imprenditore, preferisco non dire mai no a prescindere, ma preferisco un ‘perché no'”.

Come definiresti i prodotti AV se dovessi spiegarli a chi non vi conosce?

“La nostra idea di fondo potrebbe apparire molto strana se valutata con i canoni classici del commercio. Quello che AV vuole realizzare, infatti, è un prodotto iconico, che possa passare indenne attraverso stagioni e tendenze. Perciò, quando abbiamo pensato alla nostra linea di punta, AV900, abbiamo cercato un design che ci consentisse di rimanere riconoscibili anche al cambiare delle varie stagionalità, e che potesse essere rinnovato senza rinnegare i nostri valori di fondo”.

Quale il vostro target di riferimento?

“Ce lo immaginiamo come un uomo cultore dell’arte e del bello, che rifugge gli standard, e cerca calzature che possano collocarsi al di fuori di percorsi già tracciati. Al tempo stesso, una persona che vuole un prodotto funzionale, che faccia bene il suo mestiere. Le nostre parole chiave sono, quindi, Arte e Uso. Vogliamo che entrambi i concetti siano presenti nelle nostre scarpe”.

I vostri prodotti devono molto alla manifattura. Ha ancora senso un prodotto realizzato grazie al saper fare di un artigiano in un mondo che sembra, in realtà, più rassicurato dall'omologazione e dalla ‘perfezione’ di prodotti di massa tutti esattamente identici fra loro?

“Credo sia una questione di ciclicità. Gli anni ’90 e ’00 hanno condotto a un eccesso di standardizzazione attraverso cui le persone si sentono più accettate e integrate nelle tribù urbane che i grandi brand sono stati abili a costruire. Noi siamo convinti che sia più gustoso, invece, poter ritrovare la bellezza della diversità che inevitabilmente ti conduce a riscoprire l’unicità di ciascuno. E, quando qualcosa è unico, è di per sé anche prezioso”.

Quali sono le caratteristiche peculiari che un approccio artigianale porta nelle vostre calzature?

“Intanto abbiamo voluto complicarci subito la vita distanziandoci da quelle che sono considerate lavorazioni ‘normali’ e abbiamo optato per una costruzione Good Year (con una suola realizzata accoppiando diversi strati di cuoio poi cuciti insieme alla tomaia). Grazie a questa lavorazione, la scarpa diventa quasi eterna, pressoché indistruttibile.
Dopodiché abbiamo optato per pellami italiani, ottenuti da concia vegetale, e applichiamo alle nostre tomaie la ‘borellatura’: una volta preparata la tomaia, questa viene messa in una sorta di bagno di pietre pomice che vanno a scorzare la parte esterna del pellame. Si ottiene, così, un particolarissimo effetto vintage che regala a ogni paio quell’unicità di cui parlavamo prima.
Infine, dedichiamo molta attenzione al gambetto. È la nostra tela d’artista su cui oggi può campeggiare un tessuto militare, domani sostituito da un pellame dipinto a mano o stampato con qualche disegnatura particolare. È l’elemento che caratterizza il modello stagione dopo stagione”.

Quanto tempo occorre perché una calzatura made in Italy come la vostra veda la luce?

“L’intero ciclo, a partire dalla preziosa lavorazione dei pellami, richiede circa 28 giorni. Un’attenzione ai dettagli che solo noi italiani siamo in grado di assicurare e che ci prendiamo il rischio di realizzare. Io credo tantissimo proprio in questo tipo di made in Italy che si affida al genio italiano a partire dall’idea e dai materiali, fino ad arrivare al montaggio e all’inscatolamento”.

Come scegliete i vostri fornitori?

“Per la tipologia di prodotto che facciamo non cerchiamo realtà industriali super strutturate, ma calzaturifici che ci possano garantire un tocco artigianale. In un momento come l’attuale, inoltre, è anche importante trovare fornitori che possano lavorare su lotti minimi. È cruciale poter gestire con la massima oculatezza distribuzione e magazzino, oltre che avere la possibilità di rinnovare il prodotto ogni volta ce ne sia necessità.
Tra l’altro mi piace l’idea di essere dalla parte delle realtà più piccole, anche perché sono convinto che l’Italia sia diventata grande nel mondo proprio grazie ai piccoli”.

Qual è la vostra strategia distributiva?

“Mi sono reso conto dell’importanza sempre più stringente di ridurre la distanza tra il marchio e il consumatore. Perciò abbiamo investito in un e-commerce di ultima generazione che ci consentirà di coinvolgere chi acquista le nostre scarpe nei nostri processi decisionali. Ho già toccato con mano che chi si innamora di un brand desidera partecipare alla sua crescita, arriva a scriverti e suggerirti come poter fare meglio. Lavorando su e-commerce e social media puoi ottenere questa particolare vicinanza con i clienti che i consueti canali distributivi non ti consentono.
Inoltre, così facendo, ottieni anche maggior controllo su come viene raccontato il tuo prodotto. Il nostro e-commerce, infatti, non è strutturato solo per vendere, ma anche per spiegare la filosofia dell’azienda e come nasce e quali sono le caratteristiche delle nostre scarpe. Perché non vogliamo vendere una calzatura, bensì un’emozione legata a una calzatura”.

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